Domande frequenti

Spirito vichingo

Il terapeuta accoglie il paziente, lo invita a parlare e lo ascolta. La parola è protagonista delle sedute e fluisce in modo libero, secondo la cosiddetta “regola fondamentale” dell’analisi: dire tutto ciò che passa per la mente grazie alla sperimentazione di uno spazio privo di giudizio e dedicato al soggetto. Gradualmente il paziente si sente sempre più libero di dire, senza preoccuparsi troppo dei collegamenti logici tra un argomento e l’altro, e senza censure morali sui contenuti. Il terapeuta interviene di tanto in tanto: fa domande, sottolinea i punti salienti del discorso del paziente, restituisce delle interpretazioni. Nel corso delle sedute le parole danno forma ai pensieri e alle emozioni che, esteriorizzati, prendono una consistenza nuova, suggerendo nuove considerazioni e ragionamenti.

Quello che il paziente dice riflette il suo mondo interiore. Jacques Lacan, noto psicoanalista francese, allievo di Freud, ha illustrato che l’inconscio è strutturato come un linguaggio ed è fatto dunque di parole, che si radicano nella storia personale di ciascuno. La scelta e l’uso di alcune parole, significanti precisi che segnano come pietre miliari il cammino della vita psichica del soggetto, riflettono dunque elementi importanti di quel discorso particolare e soggettivo che è l’inconscio. Si disvela così la verità più intima che l’inconscio custodisce, nella sua logica discorsiva a prima vista indecifrabile.

Affinché l’analisi funzioni la parola deve essere ascoltata da qualcuno, un destinatario che riceva il messaggio e che sappia sottolinearne gli elementi decisivi per favorire il processo di elaborazione della questione problematica. Inoltre, se da un amico ci si aspetta comprensione, fiducia e incoraggiamento, in ragione dell’affetto e della posizione simmetrica che si tiene tra amici, dal terapeuta è bene non essere guidati con pareri e consigli, poiché egli è lì per guidare la cura e non il paziente, che invece potrà arrivare da solo e quando si sentirà pronto, a quella verità intima e profonda che può fare luce sul problema. Certamente la terapia psicoanalitica ammette la vicinanza umana e il conforto da parte del terapeuta, soprattutto quando il paziente è molto angosciato, ma non è questa la cifra della terapia. Lo specialista infatti, si offre per lo più come schermo su cui il paziente proietta i propri fantasmi, come specchio neutro in grado di riflettere quale sia la posizione che il paziente tiene nel rapporto con l’Altro e che spesso è la vera fonte di sofferenza.

Si inizia un percorso d’analisi perché qualcosa fa soffrire o perché si comprende di provare un disagio che impatta negativamente sulla propria vita o perché un sintomo, nuovo o di vecchia data, rende la vita difficile. Chiedere aiuto allora diventa il primo passo per iniziare a stare meglio. Ma deve trattarsi di una domanda che parte autenticamente da chi soffre e non da altri che cercano di sollecitarlo. Certamente se si viene esortati da persone care ad intraprendere un percorso di terapia è perché la propria sofferenza o i propri sintomi rappresentano un problema anche per chi guarda da fuori, ma la motivazione ad iniziare un percorso di questo tipo deve essere del tutto personale perché esso funzioni.

La condizione di ingresso nella fase della cosiddetta guarigione è quella di iniziare a riconoscere che si contribuisce alla propria sofferenza, che ciò di cui ci si lamenta è di fatto sostenuto dal soggetto stesso, per quanto inconsciamente. Il fuoco dell’attenzione si sposta così dalle colpe degli altri, dalla sfortuna, dal destino infausto, alla propria implicazione soggettiva. Jacques Lacan diceva che abbiamo sempre una possibilità di scelta…

La cura mette allora in moto qualcosa dell’inconscio, quel qualcosa che, contro ogni logica di buon senso, ci procura sofferenza fabbricando il sintomo. Il sintomo infatti colpisce da dentro non proviene da fuori, siamo noi a costruire il nostro malessere, per quanto i traumi e una vita difficile possano averne posto le condizioni. Ma ricordiamo che esiste sempre una possibilità di scelta, e che questa scelta è inconscia. È dunque sull’inconscio che dobbiamo proseguire il nostro lavoro, grazie all’analisi, che con un movimento a spirale permette di ruotare attorno al nodo centrale della questione soggettiva. E in questo andamento a elastico, d’un tratto il sintomo svanisce, accade un cambio di posizione del soggetto.

Si vede bene dunque che non si può prestabilire un tempo per la guarigione, poiché essa è determinata dai tempi interni del soggetto stesso. E proprio la dimensione soggettiva garantisce l’autenticità del cambiamento. Ci sono persone che in sei mesi apprezzano già gli effetti terapeutici e chi necessita di più tempo.