- Orientamento sulle declinazioni possibili del proprio ruolo genitoriale
- Consulenza in relazione a situazioni critiche
- Supporto alla genitorialità
- Trattamento psicoterapeutico per genitori in difficoltà
“Non hai avuto modo di scegliere i genitori che ti sei trovato, ma hai modo di poter scegliere quale genitore potrai essere”
Marian Wright Edelman
Pensarsi genitori
Fare un figlio è importante che sia prima di tutto un pensiero ossia che il bambino nasca nei pensieri dei genitori prima ancora che in sala parto. È necessario che il figlio venga simbolizzato prima che nasca affinché possa avere un posto. La scelta del Nome, ad esempio, è sempre il frutto di una negoziazione tra i genitori e il Nome, segno di una simbolizzazione, predispone un posto simbolico per il bambino che nascerà.
Dedicare, attraverso colloqui psicologici orientativi, un ascolto privilegiato al pensiero di sé come genitore e al pensiero del figlio che arriverà, approfondire le proprie aspettative e i propri desideri mettendoli in tensione con i tratti che ci caratterizzano, costituisce una presa di coscienza che aiuta ad affrontare con serenità la grande rivoluzione in arrivo.
Periodo neonatale
La nascita di un figlio segna l’ingresso nella dimensione genitoriale ed è frequente che l’inaugurazione del nuovo ruolo sia attraversata da dubbi, ansie, timori. Per quanto sia la cosa più naturale al mondo, ritrovarsi per la prima volta un figlio tra le braccia può provocare insieme a una grande gioia anche un grande senso di disorientamento. Essere investiti di nuove responsabilità, pensarsi all’altezza della situazione non è facile per tutti allo stesso modo. Capire come porsi rispetto a sé stessi e rispetto al bambino richiede uno sforzo che in questa prima fase è molto faticoso. Interpretare il suo pianto e dargli un nome, gestire la propria ansia davanti alle prime coliche o alla prima febbre sono alcuni esempi degli importanti compiti a cui i neogenitori sono chiamati. Oltre alle comuni difficoltà di questo periodo si riscontrano sempre più spesso nelle neo-mamme casi di depressione post-partum e baby blues: si tratta di fenomeni che comportano gradazioni diverse dello stato depressivo legato alla maternità, la prima più forte e duratura la seconda più lieve e circoscritta alle prime due settimane dopo il parto. È fondamentale accogliere questo disagio e dargli un senso che la mamma possa comprendere per riuscire a sgonfiare l’ansia generalizzata e il senso di inadeguatezza che prova e che spesso sono legati al fatto di dover trascorrere tutta la giornata da sola col nuovo arrivato che è tanto indifeso quanto bisognoso di moltissime attenzioni.
Per fare luce sulle questioni stringenti di questa fase e per affrontare ansie e preoccupazioni è utile essere accompagnati in un percorso breve di orientamento.
Prima infanzia (0-3 anni)
Seguire il bambino nei suoi primi passi, ascoltare e rimandargli le prime parole, e arrivare, intorno ai 2 anni, a scoprire i primi conflitti. È il momento dell’identificazione di sé come essere separato dalla mamma e per questo capace di proporre il proprio volere, di esprimere e rivendicare i propri bisogni. Una prima rivoluzione anche per i genitori, che devono riprogrammare il proprio modo di rapportarsi al bambino, perché ora inizia il difficile quanto essenziale lavoro educativo. La psicoanalisi spiega che la parola uccide la Cosa, la cultura mortifica la natura ovvero la componente animale. La parola che struttura la cultura è “NO”. Questo chiedono i bambini. Ma il “no” va detto in modo sensato e dialogico. L’epoca postmoderna in cui viviamo è l’epoca del “sì” e del bambino arrabbiato, del bambino che non vuole ascoltare. La prima infanzia è costellata di esperienze che richiedono una routine e una regola. Farlo dormire nel lettone o nella propria stanza? Lasciarlo un po’ nella carrozzina o tenerlo sempre a contatto? Come intervenire nei primi scambi che il piccolo ha con i pari? Cartoni animati sì o no?
È bene fare chiarezza su questi ed altri aspetti e considerare che ogni caso è unico e diverso dagli altri, pur sapendo che alcune abitudini possono essere dannose. Molto dipende dalla specificità della situazione, dal proprio stile, dai propri valori, ma quando la confusione non lascia spazio ad una decisione oculata e condivisa da entrambi i genitori è difficile mantenere una posizione univoca e rassicurante.
Prendersi un tempo di riflessione con cui comprendere i passaggi fondamentali del bambino, fermare la giostra dei pianti e della frenesia della quotidianità popolata di “capricci”, per cercare di capire cosa sta veramente accadendo. Il bambino mette in atto quello che i genitori mettono in campo, in modo più o meno velato. Un orientamento con consulenza psicologica aiutano ad individuare questioni importanti e a comprendere come agire per impostare dinamiche virtuose che aiuteranno anche il bambino a proseguire il suo percorso di crescita più serenamente, smarcandolo da quei comportamenti eccessivi dettati da un bisogno di espressione e di attenzione rivolti ai genitori.
Seconda infanzia (3-6 anni)
Le nuove e sempre più dettagliate competenze cognitive e sociali del bambino in questo periodo pongono i genitori davanti a soggetti che stanno particolareggiando sempre più il proprio carattere. I genitori si misurano con lo sviluppo di interessi specifici, con richieste inedite, con una innovazione nel rapporto col cibo, laddove un tempo mangiava tutto sorgono ora gusti e preferenze molto più chiari. Il bambino fa esperienze spesso di fobie, molto comuni a questa età, e destinate solitamente ad esaurirsi con la crescita. Si assiste all’ingresso in quello che Freud chiamò complesso edipico, diverso per maschi e femmine, e alla strutturazione psichica del bambino. Il ruolo della madre e quello del padre, distinti ma ugualmente centrali, sono sulla scena sotto il riflettore come grandi protagonisti di quello che è un primo tempo della partita della strutturazione del soggetto. Come la madre parla del padre? Come ne avvalora la parola? Come il padre tratta la madre? Come la madre e il padre prendono i provvedimenti educativi verso il bambino? Come parlano al bambino? Hanno uno stile condiviso o si contraddicono nelle parole e/o nei fatti? E ancora: come si sta impostando il ritmo di vita del bambino? Cosa si mette a sua disposizione? Quali e quanti giochi popolano la sua stanza? Viviamo nell’epoca dell’eccesso in cui non manca nulla ma la cosa più importante per i bambini è proprio avere a che fare con la mancanza, con la noia, con l’assenza di oggetti. Come si può giocare con l’ombra sul muro bianco se il muro è pieno di giochi che dicono “giocami”? Come fare ad orientare i bambini, figli di un’epoca priva di mancanza, a sgombrare il campo per giocare solo con la fantasia, per imparare ad ascoltare ciò che si vorrebbe, per dare più valore al gioco con l’altro che al giocattolo, per iniziare a desiderare?
Un supporto orientativo psicologico tra questi ed altri interrogativi apre questioni essenziali con cui è importante che i genitori si misurino.
Età della scuola
Si inaugura un nuovo tempo per i genitori che di fronte alla dimensione della performance del bambino, ai compiti, alle valutazioni scolastiche, prendono una posizione rispetto al senso del dovere e al sapere, come disciplina della conoscenza e come possibilità di apertura verso il mondo e luogo di passione. In lontananza la proiezione di quello che potrà conseguire da una buona performance scolastica o da una insufficiente.
Il genitore assistente che aiuta e partecipa alla vita scolastica del bambino; il genitore sostituto che fa i compiti al posto del bambino; il genitore che delega tutto alle maestre; quello che vorrebbe aiutare il figlio ma non ce la fa; quello che desidera che il figlio ami lo studio; quello a cui non importa della scuola; il genitore esigente e severo; quello permissivo e tollerante. Esistono in realtà molte sfumature, l’importante è avere consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo su questo versante, sapere che le parole che si dicono al bambino e l’atteggiamento verso questo ambito della vita avranno una lunga risonanza per lui e saranno, come sempre, determinanti.
L’ingresso nella socialità vera e propria promossa dalla scuola propone ai genitori una lunga serie di preoccupazioni che ruotano attorno ad essa, dal bullismo alle difficoltà relazionali coi pari o con gli insegnanti.
Come impostare coi propri figli un dialogo che li aiuti ad esprimere ciò che li inquieta liberamente, come riuscire ad intercettare un disagio e intervenire tempestivamente per alleviarlo? In questi casi, un breve percorso di consulenza può fornire utili strumenti per destreggiarsi abilmente tra i problemi che possono emergere nel contesto in cui il bambino vive.
Preadolescenza
I primi mutamenti del corpo si traducono spesso in un disagio per i genitori: per il padre il corpo della figlia che cambia e lascia emergere una nuova dimensione pulsionale, per la madre il figlio che cambia la voce a accenna i primi peli. È il tempo della maturazione sessuale che porta con sé i primi interessi verso la sessualità. Ma è anche il tempo dell’acquisizione di nuove capacità della mente e di nuove competenze relazionali. Tali importanti cambiamenti richiedono ai ragazzi di affrontare complessi compiti di sviluppo come la ristrutturazione dell’immagine di sé e la gestione del profondo senso di sbandamento dato dalla fine dell’infanzia. Iniziano le prime timide richieste di indipendenza, le prime uscite pomeridiane.
Si tratta di una fase cruciale in cui i genitori devono sapere esserci e iniziare al contempo a concedere al figlio la possibilità esplorativa di sé, degli altri e dello spazio circostante, calibrando con cura quanto egli sia in grado di sperimentare.
Quando in questa fase si presentano situazioni critiche, di varia origine, è importante confrontarsi con un esperto per affrontarle al meglio.
Adolescenza
È il terremoto della crescita. La trasformazione del corpo è portata a compimento. Muore il corpo del bambino e questo è faticoso da accettare per il genitore quanto per il figlio, che ora vive il suo corpo come estraneo, impazzito. L’immagine è irriconoscibile: si riedita una scoperta di sé così come accadeva nella prima infanzia, quando si rimaneva a lungo davanti allo specchio. Si accende il corpo pulsionale e si cerca il corpo dell’altro.
I figli escono dalla famiglia per cercare il gruppo di amici e la regola del genitore è messa in discussione o addirittura disattivata. Sorgono le preoccupazioni per le frequentazioni del proprio figlio, per le scelte che fa e che non dice. Come fare a concedere la dimensione del segreto, così importante in questa fase, preservando un dialogo libero che permetta al figlio di dire se qualcosa non va? Essere genitori di un adolescente comporta la sottolineatura della propria differenza dal figlio e al contempo l’ammissione di una separazione operata da parte sua.
Non è semplice per i genitori misurarsi con la frustrazione di venire tagliati fuori, scartati e lasciati all’oscuro. Queste paure spesso portano il genitore ad essere molto permissivo, molto aperto, molto presente impedendo però al ragazzo di compiere i passaggi necessari per la sua crescita. Il conflitto, che per alcuni genitori rimane l’aspetto più critico sul quale vale la pena di soffermarsi, è in molti casi assente. Ma dove l’assenza di conflitto garantisce la quiete familiare, si crea più spazio a silenziosi comportamenti trasgressivi, indispensabili in adolescenza, che possono prendere il sopravvento.
Condurre i propri figli a fare scelte di buon senso, a percorrere la strada giusta, continuare a vegliare su di loro mantenendo una distanza di sicurezza che permetta loro di separarsi e individuare se stessi. Affrontare con loro i primi fallimenti, essere presente davanti alle loro prime delusioni, accogliere la loro rabbia. Il compito genitoriale in adolescenza è quanto mai faticoso e delicato. È qui che si gioca il secondo tempo della partita della strutturazione del soggetto.
Un supporto psicologico aiuta il genitore a sostenere il suo ruolo e a dirimere, quando necessario, situazioni difficili.